Co-parenting. I benefici della cogenitorialità.
Da oltre tre decenni, la rivista Medico e Bambino, realizzata in sinergia con l’Associazione Culturale Pediatri, fornisce contributi fondamentali per l'aggiornamento dei professionisti, approfondimenti sulle innovazioni in campo pediatrico e, più ampiamente, su tematiche legate alla salute e al benessere dei bambini. Offre inoltre occasioni per riflessioni critiche e dibattiti. Desideriamo portare alla vostra attenzione questo articolo, redatto da Alessandro Volta, responsabile del Programma Materno-Infantile presso l’AUSL di Reggio Emilia, e da Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la Salute del Bambino onlus di Trieste.
L'articolo tratta di argomenti che rispecchiano i valori e la mission del sito Informa Famiglie & Bambini e la nostra redazione è felice di condividere con i nostri lettori questo prezioso testo sotto forma di Focus tematico, che mette in risalto quanto sia bello e importante che i papà si prendano cura dei loro bambini fin da quando sono piccolissimi. Sono sempre più numerosi gli studi che dimostrano quanto la creazione di questo legame speciale faccia bene, in tanti modi diversi, a tutta la famiglia.
In più, l'articolo fornisce consigli utili ai professionisti che lavorano ogni per giorno per aiutare le famiglie a stare meglio insieme, rafforzando il legame tra genitori e figli.
COPARENTING
Storia di un concetto
Il termine coparenting (in italiano cogenitorialità) è stato coniato nel 1974 da Salvador Minuchin, un pediatra e psichiatra argentino, esperto di psicoterapia famigliare. Fino ad allora, gli studiosi della relazione tra adulto e bambino/a parlavano quasi esclusivamente di “madre”, citiamo ad esempio importanti studiosi come Bowlby e Winnicott (ma quest'ultimo già negli anni '60 aveva iniziato a considerare la figura paterna quale elemento importante nella holding del bambino/a). La composizione sociale della famiglia fino alla seconda metà del secolo scorso era rappresentata da una madre che accudiva figli/e e un padre con funzioni prevalentemente di procuratore di reddito (breadwinner). Dobbiamo attendere gli ultimi 2-3 decenni per vedere un papà coinvolto fin dal periodo perinatale e con crescenti funzioni di accudimento. Per dovere di cronaca occorre però ricordare che già nel 1693 il filosofo John Locke in alcuni suoi scritti pedagogici auspicava un padre meno autoritario e più capace di relazione affettiva con la prole. Un secolo più tardi, il pensiero illuminista opera una decisa critica alla patria potestà (e alle conseguenti frequenti punizioni corporali) e con la Rivoluzione Francese, nel 1792, viene sancita la totale uguaglianza giuridica dei coniugi (norma poi in buona parte rinnegata dal Codice Napoleonico). Nel nostro Paese, l’uguaglianza dei genitori è stata riconosciuta legalmente soltanto nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia. La Legge 54 del 2006 afferma il principio della bigenitorialità.
Al di là delle norme giuridiche e legislative, la figura paterna è ormai entrata a pieno titolo nella prassi dei nostri percorsi di cura e anche nella mente di noi operatori. Qualcuno ha parlato di “mutazione antropologica”, ma bisogna riconoscere che questo cambio di paradigma della genitorialità è avvenuto in buona parte dal basso, in parte a seguito delle circostanze (maggiore attività lavorativa delle madri) e in parte voluto dai padri (soprattutto le nuove generazioni con livello socio-culturale medio-alto). Attualmente, le prassi di presa in carico dal concepimento a tutta l’età evolutiva vedono aumentare una diffusa partecipazione dei padri riconosciuta e promossa dagli operatori sanitari e da quelli dei servizi educativi. L’UE ha recentemente finanziato per il nostro Paese due progetti (https://4e-parentproject.eu) per incrementare la partecipazione attiva dei padri nel percorso nascita e nei primi 1.000 giorni e attualmente è in corso un lavoro di advocacy presso i decisori politici per incrementare permessi e congedi di paternità e sostenere maggiormente la conciliazione lavoro-famiglia, oltre che per le mamme, anche per i papà.
La cogenitorialità non è la somma di maternità e paternità (non necessita neppure della compresenza dei genitori), è invece un'alleanza di coppia che crea sinergia di azione e porta il bambino/a a percepire armonia ed equilibrio relazionale. Il coparenting è basato sulla fiducia e la stima reciproca e produce responsabilità condivisa; è compromesso in presenza di conflitto, svalutazione, insoddisfazione, antagonismo, gelosia, assenza di reciprocità. Gli studi ci dicono che conflittualità e incomprensioni sono più facili nelle coppie che prima della nascita del bambino/a avevano già difficoltà nel comunicare e nel condividere i propri vissuti. Delusioni e risentimenti nel post nascita sono generalmente provocati da aspettative troppo elevate che vengono disattese. In questo periodo l’anello debole sembra essere il padre, la cui limitata resilienza può produrre ritiro e disimpegno; le madri invece mostrano competenze nell’accudimento anche in presenza di una relazione di coppia insoddisfacente.
Nelle dinamiche cogenitoriali e nelle rappresentazioni mentali dei genitori entrano in campo anche altri fattori, quali ad esempio il temperamento del bambino/a e l’impegno delle cure, ma anche la relazione che i genitori hanno con la famiglia di origine e il tipo di attaccamento che loro stessi hanno avuto nella prima infanzia.
I benefici della cogenitorialità
Il beneficio che il coinvolgimento dei padri (in aggiunta a quello materno) produce sullo sviluppo relazionale e sociale dei figli/e in età evolutiva è sostenuto da solida letteratura scientifica (sia review che studi prospettici di coorte). Meno studiato è l’effetto dell’alleanza genitoriale tra madre e padre e della loro sinergia di azione sulla prole. La cura della relazione madre-bambino/a e padre-bambino/a può produrre una buona relazione diadica, senza però necessariamente incidere su quella triadica e dell’intera famiglia. È possibile che madre e padre siano ben sintonizzati con il loro bambino/a, ma non tra di loro e i conflitti di coppia dopo la nascita di un figlio/a sono purtroppo frequenti. Recenti ricerche segnalano che le relazioni precoci con entrambi i genitori e l’ambiente famigliare nel suo insieme hanno effetti diretti a medio e lungo termine sulla salute fisica e mentale, sulle competenze sociali, sull’apprendimento e lo sviluppo cognitivo del bambino/a.
Altre ricerche danno conto della precoce capacità del bambino/a nel concepirsi come parte attiva di relazioni triadiche e già dal secondo semestre di vita sono in grado di osservare la relazione che i genitori sviluppano tra loro e, nel caso di conflitto di coppia, possono mettere in atto comportamenti evitanti difensivi. Dai principali studi sulla cogenitorialità emerge che la qualità della relazione di coppia produce effetti diretti e indiretti sulle competenze sociali fino in età adolescenziale e favorisce l’acquisizione di autostima e autoregolazione. Uno studio longitudinale effettuato su 2.027 famiglie olandesi mostra un effetto diretto di attività condivise con il bambino, in particolare del gioco, da parte di entrambi i genitori, sullo sviluppo delle competenze cognitive. Questa attività condivisa si dimostra capace di mediare (riducendolo o aumentandolo) l’effetto del livello educativo dei genitori sulle stesse competenze. In altre parole, la cogenitorialità si dimostra fattore indipendente sullo sviluppo, circostanza che evidentemente lascia spazio a consigli e interventi per favorirla. Mentre i benefici sui genitori, in termini di benessere e fiducia sono intuitivi, i benefici che una buona condivisione di cure genitoriali può portare al bambino sono ampi e in parte inattesi.